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Vaccini contro il cancro. Cosa sono? Quando si usano?

In tempi in cui i vaccini sono spesso demonizzati, occorre far conoscere i “vaccini” contro il cancro.

Di Valeria Maglia

Dobbiamo subito distinguere i vaccini nel senso tradizionale del termine, che sono preparati capaci di prevenire una malattia infettiva, stimolando una risposta immunitaria (vaccino contro epatite-b, papilloma virus) e i vaccini terapeutici contro il cancro.

Questi sono infatti trattamenti capaci di risvegliare le difese dell’organismo contro la malattia in corso, già sperimentati per la cura di diversi tipi di tumore. Il principio fondamentalmente è lo stesso alla base dei vaccini usati contro le malattie infettive: addestrare il sistema immunitario a riconoscere le molecole (antigeni) che si trovano sulla superficie delle cellule tumorali, eliminando queste ultime.

 

Ma quali sono questi vaccini?

  • I vaccini a cellule intere prevedono di iniettare nel paziente cellule tumorali prelevate durante l’intervento chirurgico con cui è stato asportato il tumore (cellule autologhe) o provenienti da un altro paziente (cellule allogeniche). Le cellule prima di essere iniettate vengono uccise e modificate in laboratorio
  • Vaccini ad antigeni costituiti da uno o più antigeni tipici di un determinato tumore e sono capaci di stimolare una risposta immunitaria contro di essi da parte dell’organismo. Questi tipi di vaccini non sono prodotti per singolo paziente, ma per tutti quelli con una determinata malattia
  • Vaccini a cellule dendritiche (Provenge è il nome noto a tutti commercialmente) vengono usati contro il tumore della prostata in fase avanzata. Questo è l’unico vaccino terapeutico contro il cancro a essere finora approvato dalle autorità sanitarie, anche se ritirato dal commercio perché troppo costoso a fronte di risultati purtroppo non sempre particolarmente soddisfacenti.

 

Quali altri approcci dunque di immunoterapia sono allo studio contro il cancro?

Altri promettenti “vaccini anticancro” sono in fase sperimentale, ci vorrà però ancora un po’ perché i risultati siano validi in studi clinici e possano eventualmente essere utilizzati nei pazienti.

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