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La teleassistenza può integrare e non sostituire la visita in presenza

La teleassistenza può integrare e non sostituire la visita in presenza, ma prima bisogna individuare la popolazione che può essere avviata a percorsi da remoto. In una delle Aziende Sanitarie più grandi d’Italia la prima survey sulla teleassistenza.

Ravenna, 28 maggio 2021

I pazienti promuovono l’assistenza da remoto erogata nell’anno della pandemia e chiedono che non si torni indietro quando l’emergenza sarà finita. Un giudizio condiviso anche dagli specialisti, ma con alcuni caveat legati all’intensità di cura e alle fasi di gestione delle diverse patologie, in relazione al singolo paziente: per i professionisti della salute, infatti, uno dei punti fermi da cui partire per ridisegnare l’assistenza sanitaria, in un’ottica di capillarità e continuità terapeutica, è senz’altro l’implementazione della teleassistenza, ma come integrazione alle visite in presenza, e non come approccio sostitutivo.

È quanto emerge dalla ricerca “La teleassistenza ai tempi del Covid19: il punto di vista dei cittadini e dei professionisti” realizzata dall’Unità Operativa Qualità e Governo Clinico dell’AUSL Romagna – una delle aziende sanitarie più grandi d’Italia, che copre 5.100 chilometri quadrati di territorio con 1.300.000 utenti e oltre 15mila dipendenti – in collaborazione con il Servizio Innovazione Sociale dell’ASSR dell’Emilia-Romagna, che ha fotografato lo spaccato dell’offerta di assistenza sanitaria della Regione tra luglio e ottobre 2020. Circa 3 pazienti su 4 (il 74%) su un totale di 953 persone afferenti ai servizi di Diabetologia, Pediatria, Neurologia e Oncologia, hanno valutato con giudizio “ottimo” o “buono” i servizi di teleassistenza erogati dal SSR, che, per il 57% degli intervistati, si sono rivelati validi al pari delle visite in presenza. Inoltre, il 63% dei pazienti si è detto favorevole a continuare a utilizzare questi servizi anche in futuro.

D’altro canto, molti degli specialisti coinvolti nell’indagine hanno ritenuto di sottolineare che la teleassistenza non può essere considerata alla stregua delle visite in presenza: pertanto, la decisione di offrire un servizio da remoto dovrà essere valutata caso per caso, sulla base della specifica tipologia di paziente, percorso terapeutico e assistenza o trattamento necessari. Un’esigenza, quella dell’apprezzamento in concreto da parte del professionista della salute, circa l’opportunità della visita a distanza, che risulta percepita come essenziale, trasversalmente e senza rilevanti distinzioni, fra tutte le specialistiche coinvolte nell’indagine.

Dal punto di vista qualitativo, emerge un dato d’interesse riguardo al grado di coinvolgimento dei pazienti attraverso i servizi offerti a distanza: per la quasi totalità dei partecipanti, attraverso l’utilizzo della teleassistenza è stato possibile tenere saldo il rapporto tra specialista e paziente. Il contatto periodico con i propri assistiti ha consentito agli specialisti di restare loro ‘vicini’ e di rassicurarli, contrastando il senso di solitudine e di smarrimento, soprattutto negli anziani. In altre parole, in un momento in cui prossimità e vicinanza erano di fatto impossibili, la teleassistenza ha sicuramente rappresentato lo strumento attraverso cui colmare il gap di continuità terapeutica determinato dall’emergenza, e si è rivelata fondamentale anche nell’educazione terapeutica del paziente, altro elemento ritenuto valido anche al di là della congiuntura pandemica.

L’indagine che abbiamo condotto ci ha confermato che i tempi sono maturi per un cambiamento cruciale: la teleassistenza può divenire una modalità strutturale di presa in carico da parte del SSN”, commenta Mattia Altini, Direttore Sanitario della azienda Romagnola.

Come sottolinea Nunzia Boccaforno, Direttore UO Qualità e Governo clinico, la teleassistenza “deve, però, essere modulata a cura dei professionisti della salute, sulla base delle specifiche esigenze assistenziali e terapeutiche che si fondano sulla condizione precipua di ciascun paziente. Dobbiamo, quindi, capire quali sono le caratteristiche del paziente appropriate per questo approccio assistenziale. Queste potranno essere concretamente valutate solo da parte di ciascuno specialista e in relazione a ciascun paziente”.

Da questo punto di vista, il Covid-19 è stato semplicemente un catalizzatore del processo, ma anche della nostra capacità di osservazione e valutazione del fenomeno, più che mai nell’ambito delle cronicità, che hanno pagato il prezzo più alto e che non a caso abbiamo individuato come terreno d’elezione per la nostra indagine. I risultati della survey ci dicono che abbiamo bisogno di investimenti senz’altro in digitalizzazione, ma anche nella formazione del personale sanitario coinvolto in queste attività, affinché sia possibile conciliare una riforma del Servizio Sanitario in chiave di sostenibilità e di prossimità, ma anche di efficacia, in termini di performance e di ritorno di salute per i cittadini” precisa Tiziano Carradori, Direttore Generale AUSL della Romagna.

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