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Le cure possibili con la stimolazione magnetica transcranica

La stimolazione magnetica transcranica è stata a lungo utilizzata a scopo di ricerca ma negli ultimi anni è aumentato il suo uso in ambito clinico. A cosa serve e come si usa?

di Melania Sorbera

L’idea di stimolare il cervello per scopi di ricerca risale alla fine del 1.700. Prima della stimolazione magnetica transcranica l’unico metodo di ricerca per studiare i collegamenti tra neuroni e le aree cerebrali era la stimolazione elettrica, una tecnica che si attua ancora oggi per misurare la velocità di conduzione dei neuroni e per stimolare i muscoli i cui legami neurali sono stati compromessi.

La stimolazione elettrica però era dolorosa e difficoltosa per lo studio di aree più profonde del cervello umano così si pensò ad un’altra tecnica, meno invasiva: la stimolazione magnetica appunto. Nel 1976 nell’Ospedale Royal Hallamshire del Regno Unito, in collaborazione  con l’Università, fu avviato un progetto con l’obiettivo di stimolare i nervi utilizzando la corrente indotta da impulsi magnetici, di breve durata, in modo che la risposta elettrofisiologica potesse essere rilevata e consentisse la stimolazione dei nervi periferici senza troppo dolore.

La stimolazione magnetica transcranica così come la conosciamo fu presentata per la prima volta nel 1985. Da allora è stata utilizzata prima per scopi di ricerca poi in ambito clinico. I campi di utilizzo sono tanti: si va dal trattamento dei disturbi psichiatrici e neurologici quali la depressione, il deficit dell’attenzione e dell’apprendimento, patologie legate all’ansia e all’alimentazione, le allucinazioni, la malattia di Parkinson, l’obesità ma anche l’impulso a fumare. La Food and Drug Administration l’ha autorizzata per il trattamento dell’emicrania.

In Neurologia si è dimostrata utile per la riabilitazione cognitiva post stroke o post trauma cranico. I protocolli di somministrazione prevedono l’utilizzo della stimolazione magnetica transcranica più volte nel tempo e in aggiunta alla psicoterapia. C’è anche da dire che alla lunga alcuni studi hanno dimostrato la presenza nei pazienti sottoposti a cura, di effetti collaterali e transitori come le cefalee o le emicranie. Ancora oggi l’approccio tradizionale a queste patologie, in cui le alterazioni sono di natura funzionale più che strutturale, è stato sempre quello di agire farmacologicamente, magari modulando la trasmissione sinaptica.

E’ un approccio che potrà un giorno essere abbandonato? Si fa presto a dire stimoliamo il cervello. E’ davvero facile farlo? Come funziona la stimolazione magnetica transcranica?

Non è stato semplice capirlo ma si è riusciti nell’intento. Questa tecnica prevede che il campo magnetico, riesca a oltrepassare il cranio, raggiungere l’encefalo e le strutture cerebrali sottostanti provocando una lesione transitoria che inibisce le funzioni cognitive dell’area stimolata. La variazione, così condotta, evoca un flusso di corrente elettrica che interferisce sulla normale attività cerebrale causando una depolarizzazione dei neuroni. Se utilizzata in modo ripetitivo ad alte o basse frequenze può indurre e modulare i fenomeni di riorganizzazione neuronale, ed è in grado di facilitare o inibire in maniera determinante i circuiti neuronali responsabili di una determinata funzione o di un determinato sintomo.

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